Mediazione obbligatoria: i requisiti necessari affinché assolva la condizione di procedibilità
Sono due i requisiti necessari affinché la mediazione obbligatoria assolva la condizione di procedibilità: la presenza personale delle parti già dal primo incontro preliminare e che il tentativo di mediazione sia stato effettuato in maniera vera e propria. Le parti sono quindi tenute a cercare realmente di arrivare ad una conciliazione fin dal primo incontro, altrimenti mediatore e giudice sarebbero solo due esecutori al servizio delle parti. In questa ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il giudice, non convinto dal primo tentativo delle parti, invita a presentare una nuova istanza all’Organismo di Mediazione.
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
articolazione distaccata di Caserta
IV sezione civile
(omissis)
…………….“quanto alla condizione di procedibilità, si rileva che la mediazione non è stata correttamente svolta, in quanto le parti non risultano essere entrate nel discorso conciliativo…”
E’ stata prodotta in atti la copia del verbale negativo di mediazione nella relativa procedura. In tale verbale, il mediatore dà atto della presenza delle parti e dei difensori, dell’invito a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura e della dichiarazione delle parti: la parte invitata afferma «non vi sono i presupposti per attivare la procedura di mediazione» e la parte istante «prende atto della mancata volontà di attivare la procedura di mediazione»; così, preso atto delle dichiarazioni rese dalle parti [……] dichiara esaurita la fase del prima incontro e ordina di archiviare il procedimento.
La “mediazione” così come si è in concreto svolta non è idonea a soddisfare la condizione di procedibilità prevista dalla legge. Come ormai concordemente sostenuto dalla giurisprudenza di merito (tra gli altri, cfr. l’ordinanza emessa dal Tribunale di Firenze, II sezione civile, il 19 marzo 2014, pronunziata in un caso di mediazione obbligatoria ex officio iudicis), le condizioni verificatesi le quali può ritenersi correttamente formata la condizione di procedibilità sono:
1) che vi sia stata la presenza personale delle parti;
2) che le parti abbiano effettuato un tentativo di mediazione vero e proprio.
A definire cosa debba intendersi per tentativo vero e proprio e non meramente formale, al fine di non vanificare l’intento del legislatore e gli intenti della direttiva europea n. 52/08 nell’ambito degli scopi di alleggerimento del contenzioso, è opportuno prendere le mosse dalla formulazione, solo in apparenza ambigua, degli articoli 5 e 8 del D.L.vo n. 28/ 10: in quest’ultimo sembra che il primo incontro sia destinato solo alle informazioni date dal mediatore e a verificare la volontà di iniziare la mediazione (l’art. 8 prevede, infatti, che <>). Tuttavia, l’articolo 5, comma 5 bis fa riferimento a un <>. Sembrerebbe dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vera e propria, ma una parte di essa, dato che non avrebbe logica parlare di ‘mancato accordo ’ se il primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria. Tenendo presente, invece, lo scopo dell’istituto, anche alla luce del contesto europeo in cui — come si è detto — si inserisce, non può ritenersi che alle parti sia consentito presenziare sic et simpliciter manifestando che non è loro reale intenzione addivenire a un accordo, restando ferme sulle rispettive posizioni e attendendo il verbale negativo grazie al quale poter-finalmente sfogare in giudizio le proprie pretese. La loro effettiva presenza nel procedimento di mediazione e l’effettivo avvio di un sostanziale tentativo di mediazione ha lo scopo di riattivare la comunicazione tra persone in lite, al fine di renderle in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto; ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione (funzione, peraltro, che dovrebbe essere già stata svolta dagli avvocati prima de]l’avvio della procedura) vorrebbe significare che giudice, mediatore e difensori altro ruolo non svolgono che quello di recepire passivamente l’atteggiamento delle parti, limitandosi a registrarlo senza effetto alcuno e a descriverlo in verbali senza alcuna finalità realmente conciliativa. È stato osservato, con espressione assai efficace, che «non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere». La dilazione ha senso, invece, quando una mediazione sia effettivamente svolta e Vi sia stata un’effettiva opportunità di raggiungere l’accordo tra le parti in conflitto. Tale interpretazione non è contraddetta da quanto previsto all’articolo 5, comma 2 bis del D.L.vo 28/10, secondo cui «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo». La disposizione sembra a prima lettura richiamare “il primo incontro” di cui all’articolo 8 comma 1 e di conseguenza il giudice non potrebbe esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che la mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro. Tuttavia, egli può comunque pretendere che in questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo. In contrario non si può argomentare dall’articolo 8 citato, nella parte in cui statuisce che «durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento». Solo apparentemente, infatti, in essa può leggersi che il mediatore potrebbe, nel primo incontro, non avere neppure la possibilità di tentare un accordo se le parti non vogliono che ciò accada: ciò starebbe a dire che se le parti e i loro avvocati non vogliono effettuare un vero tentativo di conciliazione (magari per non pagare il compenso all’organismo di mediazione) possono limitarsi a suscitare la procedura, presentarsi e esprimere in quella sede preliminare la volontà contraria a iniziare una mediazione e così adempiere alla condizione di procedibilità. A parte il nonsense di una simile previsione nel contesto sopra richiamato di risoluzione stragiudiziale dei conflitti, una lettura del genere non avrebbe altro effetto che rendere la mediazione obbligatoria null’altro che… facoltativa. Il mediatore avrebbe la sola funzione di valutare se tentare o meno di verificare se effettivamente le posizioni delle parti sono inconciliabili, senza voler considerare che in tal caso una sola delle parti potrebbe farsi arbitro assoluto dell’esito della procedura, chiudendosi al primo incontro e costringendo il mediatore e a prenderne atto (è stato anche osservato, al riguardo, che non ci sarebbe da stupirsi a constatare il frequente uso di “diritto potestativo” di tale genere, anche solo volendo considerare che in caso di mancato accordo in quella fase nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione). Al giudice spetta, invece, di interpretare la normativa interna anche in conformità a quella europea — che in questo settore chiede, come si è ripetuto, di agevolare il più possibile la soluzione delle controversie in modo alternativo a quello giudiziario: perciò appare più corretto interpretare la norma nel senso che il mediatore, nell’invitare le parti e i loro procuratori a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti giuridici e di fatto per poter procedere (come può essere, per esempio, una delibera che autorizza l’amministratore di condominio a stare in mediazione, un’autorizzazione del giudice tutelare per un minore oppure la presenza di tutte le parti in caso di litisconsorzio necessario). Non può risolversi la funzione del mediatore nel chiedere alle parti se vogliono procedere, poiché il legislatore non ha detto che egli deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma invitarli a esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, aggiungendo che procede con lo svolgimento non “se le parti vogliono”, ma “nel caso positivo” della svolta verifica. Nel caso di specie, dal verbale negativo di conciliazione emerge chiaramente che non è stata neppure tentata una vera e propria mediazione.
P.Q.M.
il giudice assegna alle parti il termine di decorrente dalla data odierna per la presentazione della domanda di mediazione, riservando all’esito ogni ulteriore provvedimento.
Fissa per la verifica l’udienza del 28 settembre 2018 alle ore 9.30.
Caserta, 6 aprile 2018
La giudice
Carla Bianco
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